Volterra, in provincia di Pisa, è un luogo importante per gli appassionati di storia. Nel VI secolo a.C. era una delle dodici lucumonie che facevano parte della Dodecapoli, l’alleanza che comprendeva le città etrusche più potenti.
Solitaria e appollaiata su un colle, Volterra domina dall’alto la bella campagna della Val di Cecina. La città era sede di un grande mercato a cui giungevano le genti che dai territori sulla costa tirrenica intendevano commerciare i loro prodotti con le zone dell’interno.
Le miniere di sale, risorsa conosciuta fin dal tempo degli Etruschi, e la scoperta dell’allume nel sottosuolo durante il Rinascimento, accrebbero ulteriormente la ricchezza della gloriosa Velathri, il nome etrusco della cittadina, e furono il motivo di agguerrite dispute fra le famiglie potenti per accaparrarsi le concessioni. Per sedare le rivolte, il Consiglio di Volterra, nominò come giudice Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze. Il popolo, amareggiato per le decisioni prese, si ribellò, i Fiorentini cinsero allora d’assedio Volterra e il 18 giugno del 1472 riuscirono a prenderne possesso. Gli eventi sono passati alla storia con il nome di sacco di Volterra.
Volterra ha continuato la vocazione di grande luogo di scambio fino agli inizi del XX secolo, quando la crisi agricola e le modifiche viarie ne fecero decadere l’importanza.
I resti delle mura etrusche sono visibili in alcuni tratti della cerchia medievale e nel punto più alto del borgo, dove si trova il Parco Enrico Fiumi, ci sono le rovine di quella che in epoca etrusca era l’Acropoli.
Nelle mura in basso si trova la Porta all’Arco, una delle porte ad arco più antiche del mondo. Risale al IV secolo a.C., la possiamo ammirare ancora oggi nella maestosità delle grandi pietre in tufo e arenaria e adorna di tre teste, probabilmente le divinità protettrici della città.
Nel Museo Guarnacci possiamo osservare reperti storici di notevole interesse, fra i quali la misteriosa Ombra della sera.
Questa enigmatica statuetta è divenuta celebre per la particolarità dell’espressione facciale e per le proporzioni del corpo non consuete, allungate, quasi in stile moderno. Esempi di statuette simili sono state ritrovate vicino ad aree sacre etrusche, da questo deriva l’ipotesi di uno scopo votivo o comunque legato ad aspetti spirituali. Il nome le fu attribuito da Gabriele d’Annunzio, che ne rimase affascinato come da una Gioconda di epoca Villanoviana.
D’Annunzio giunse a Volterra il 26 Ottobre 1909 a bordo di una grande automobile. Era accompagnato dalla nuova fiamma, la cantante russa Donatella Cross. Conosceva già Volterra, c’era stato nel 1897 e l’aveva inserita nelle Laudi, fra le Città del Silenzio dell’Elettra. Dalla città di vento e di macigno trasse poi ispirazione per il Forse che sì, forse che no. Fu una visita minuziosa la sua, nella quale frequentò i musei, incontrò persone e fece diverse passeggiate notturne per il paese. Il poeta e la sua amante soggiornarono all’Albergo Nazionale, proprio all’ingresso del borgo dalla parte del grande parcheggio. Una targa sulle pareti dell’Hotel ricorda il suo passaggio.
A Volterra troveremo anche considerevoli rovine romane. Gli Etruschi, caduti sotto la supremazia di Roma, seguirono l’esempio dei dominatori, dotandosi di un teatro e di un complesso termale. Furono entrambi finanziati dalla gents etrusca dei Caecina.
I Romani rispettarono la tranquilla e intelligente civiltà etrusca, dalla quale appresero abilità manifatturiere e architettoniche.
Volterra ha dato i natali al poeta Aulo Persio Flacco, amico di Seneca e forte oppositore delle politiche neroniane.
Era nato a Volterra anche il successore dell’apostolo Pietro, Fabio Quintilio, suo collaboratore e secondo papa della storia nominato a Roma con il nome di Lino nel 67 d.C. Anche papa Leone I, detto Leone Magno, sembra sia nato in questa città.
Volterra è tristemente nota pure per il penitenziario e per il grande Ospedale psichiatrico, nato come ospizio per i poveri nel 1884 e progressivamente ampliato e trasformato in Frenocomio a partire dal 1888. Venne poi chiuso definitivamente nel 1977 con la legge Basaglia.
Il manicomio di Volterra è tra i migliori e più umani d’Italia. Il sistema vigente è quello di curare tramite il lavoro, largendo ai malati il maggior grado di libertà consentito dal loro stato… A Volterra vige una fiducia, che credo unica nel mondo, di fronte ai malati di mente. La città non li teme, sicura che se fossero pericolosi i medici del manicomio non li farebbero uscire. Essi trovano amici, sono invitati a bere, possono partecipare ai discorsi… In questa cittadella dalle mura grigie, il pazzo si mescola al savio; potrebbe essere un soggetto letterario potente
da Viaggio in Italia di Guido Piovene, 1953
Sotto la direzione del dottor Luigi Scabia, il manicomio di Volterra era come un villaggio autosufficiente, con l’azienda agricola, il forno, l’officina, la lavanderia, un proprio giornale dal titolo Torniamo alla vita e addirittura una propria moneta, l’OPV. A Volterra arrivavano i malati mentali da tutte le parti d’Italia e anche dall’estero. Venivano internati per vizi di mente più o meno gravi, e suddivisi nei vari padiglioni che ricoprivano una superficie di 30.000 metri quadri di costruzioni, oggi molti in decadimento.
Le varie palazzine si trovano dislocate nella zona di San Lazzaro e del Poggio alle Croci, dove in epoca etrusca si trovavano le aree sacre e le necropoli. Nel medioevo sul Poggio alle Croci erano state istallate tre croci lignee, da questo deriva il nome.
Il dott. Scabia, dai metodi talvolta criticati ma sempre fedele al sogno di restituire alla vita normale i pazienti, morì nel 1934 dopo 34 anni dedicati con cura al suo frenocomio. Alla sua morte volle essere sepolto nel Campaccio, vicino alle tombe dei malati non richiesti da nessuno. In seguito l’ospedale acquisterà un terreno per questo scopo, il cimitero di Sanfinocchi, dal nome della famiglia dalla quale fu acquistato e che venne chiuso nel 1977 insieme all’Ospedale.
I Sanfinocchi erano una famiglia di ricchi muratori volterrani. Pietro Sanfinocchi fu canonico della Cattedrale di Volterra nel 1780.
E’ ricordato per un fatto curioso: egli salvò dalla furia del popolo l’aquila di legno dorato che sorregge il leggìo nel pulpito del duomo. Era stata intagliata nel 1580 dallo scultore Jacopo Paolini di Castelfiorentino, lo stesso autore del bellissimo soffitto a cassettoni. Fu poi dorata inseme al soffitto dal pittore Fulvio della Tuccia di San Gimignano, che venne pagato per 7 giornate a dipingere e decorare più cose nella chiesa.
I cittadini avrebbero voluto bruciare l’aquila perchè la ritenevano l’emblema dell’impero di Napoleone, il Sanfinocchi spiegò che quello era il simbolo dell’evangelista Giovanni. E l’aquila fu lasciata al suo posto.
Le opere erano state volute e pagate a proprie spese dal vescovo Guido Serguidi e cofinanziate dalla popolazione volterrana.
Nel duomo di Volterra si trovano un bel ciborio in marmo di Mino da Fiesole e nella cappella vicino all’entrata, è conservata una tavoletta con il monogramma JHS donata alla città da San Bernardino da Siena, che predicò a Volterra nel 1424 suscitando grande entusiasmo nella popolazione.
Fra i pazienti più noti dell’ospedale psichiatrico di Volterra c’è Fernando Oreste Nannetti, nato a Roma nel 1927 e internato dall’età di 10 anni. Trascorse l’intera esistenza chiuso nei manicomi. A Volterra giunse nel 1958 e vi rimase anche dopo la chiusura dell’ospedale. E’ noto per aver inciso con la propria fibbia dell’uniforme più di 180 metri di graffiti, realizzati sulle pareti esterne e all’interno del padiglione Ferri.
I graffiti, scritti in caratteri somiglianti all’alfabeto etrusco, contengono i pensieri di Nonof, ossia NOF4, così come era solito chiamarsi. Fernando scriveva di comunicare con persone aliene alte, spinacee, con la bocca stretta e il naso a y e passava interi pomeriggi a incidere con la fibbia i suoi pensieri sui muri. Aldo Trafeli, uno degli assistenti con i quali aveva sviluppato una certa confidenza, lo incoraggiava a scrivere, colpito dai suoi pensieri a volte molto profondi. E’ stato anche grazie al Trafeli che la storia di Nonof non è caduta nell’oblio.
Sono materialista e spiritualista, amo il mio essere materiale perchè sono grande e amorevole con il mio spirito
da un pensiero di NOF4
Nel 2011 un fac-simile del libro di pietra del Nannetti è stato oggetto di una mostra e inserito come capolavoro dell’arte brut a Losanna in Svizzera.
Volterra vale di sicuro una visita. I suoi palazzi medievali, le case torri, i reperti storici e i musei del territorio, costituiscono interessanti attrazioni da vedere. L’espressione beffarda dell’ombra della sera è come se volesse ricordarci di guardare sempre al di là, dell’importanza del tenere a mente e del non dimenticare.
Per concludere la visita della città, potremo curiosare nei laboratori di alabastro, pietra tipica di Volterra che ancora oggi viene lavorata a mano da abili artigiani. E magari terminare la serata con una cena in uno dei numerosi ristoranti del centro.
Nei ristoranti di Volterra si offre ancora la zuppa di pancotto e verdura, condita con l’olio di oliva e con le erbe aromatiche… Girando per le strade si scorge ad ogni passo un laboratorio dove gli artigiani lavorano l’alabastro con una lima come si fa col legno… Le belle piazze e le strade in pendenza, le case-torri, uniscono la suggestione medievale a quella remota del museo etrusco, che è tra i più ricchi d’Italia.
da Viaggio in Italia di Guido Piovene