Volterra, in provincia di Pisa, è un luogo importante per gli appassionati di storia. Secondo Sant’Agostino la città fu fondata dai discendenti di Noè, il quale dopo il Diluvio venne in Italia e edificò le prime mura volterrane affidandole al pronipote Ul, figlio di Aram, figlio di Sem. Certo è che nel VI secolo a.C. Volterra era una delle dodici lucumonie, la più antica delle città della Dodecapoli degli Etruschi, popolo dalle origini e usanze ancora in parte misteriose.
Avendo preso da principio la religione e i riti sacri dallo stesso Noè… Fu poi Volterra la prima città di Toscana che si riducesse alla fede di Gesù Cristo Salvatore, l’anno di nostra salute circa 60 d.C.
da Cronistoria dell’antichità e nobiltà di Volterra, 1613, Google books

Volterra ha dato i natali al poeta Aulo Persio Flacco, forte oppositore delle politiche dell’imperatore Nerone. Persio, nato nel 34 d.C. da una famiglia agiata di origine ebrea, si trasferì per studio da Volterra a Roma dove divenne amico del poeta Cesio Basso e del filosofo Lucio Anneo Cornuto. Ebbe modo di conoscere anche Seneca e Anneo Lucano. Persio affermava che la vera libertà non era un fatto esteriore legato quindi allo stato sociale, ma dipendeva esclusivamente dalla libertà dell’anima, dalla non schiavitù del peccato. Nelle sue interessanti satire, da molti della sua epoca giudicate farneticanti, egli parla di superstizione, di ipocrisia religiosa, della corruzione dilagante, dell’ozio dei giovani e della mollezza della poesia del suo tempo. Un interessante documento storico da studiare con attenzione.
Se alla vista del denaro, o sciagurato, tu impallidisci, se non sai reggere ai più piccoli stimoli della tua libidine, se con molte lividure flagelli scaltro il pozzo amaro, inutilmente offrirai al popolo le orecchie assetate di lodi. Rifiutati di essere quello che non sei, e la plebaglia si riprenda i suoi regali: tu rientra in te e vedrai quanto è misera la tua mobilia
dalla Satira quarta di Aulo Persio Flacco

Nacque a Volterra anche il successore dell’apostolo Pietro, suo collaboratore e secondo papa della storia nominato a Roma con il nome di Lino nel 67 d.C.
Figlio di Hercolano, Lino apparteneva alla nobile famiglia dei Mauri. Fu mandato a Roma a studiare all’età di 22 anni, dove fu ospite di Fabio Quinto, amico del padre. Arrivato Pietro, l’apostolo di Gesù, a Roma, Lino fu uno dei primi a seguirlo e aiutarlo nella predicazione e amministrazione dei sacramenti
Vedendo in lui buone qualità come dottrina, discrezione e bontà, con la propria autorità l’ordinò Vescovo insieme con Cleto e lo fece suo coadiutore nella dignità… e dopo la morte di Pietro, da coadiutore divenne Sommo Pontefice della Santa Romana Chiesa… I Cristiani a quel tempo erano pochi, e quell’officio era tanto santo e pericoloso che all’occorrenza molti lo rifiutavano
da Cronistoria dell’antichità e nobiltà di Volterra, 1613, Google books


Durante il pontificato di Lino avvennero molti eventi fondamentali nella storia del primo cristianesimo, come la fine della guerra civile fra fazioni che era scoppiata in Giudea nel 66 e la distruzione del tempio di Gerusalemme ad opera degli eserciti di Vespasiano e del figlio Tito. Dopo quest’evento molti Ebrei si trasferirono a Roma (e probabilmente anche a Volterra). Fra questi c’era pure il re Erode Agrippa II, che come altri re giudaici aveva già trascorso periodi dell’infanzia nella città eterna. La Giudea era infatti un regno cliente di Roma, manteneva quindi buoni rapporti con gli imperatori romani e come tutti gli stati dell’Impero conservava la libertà religiosa. Insieme a Erode giunsero a Roma anche le sorelle Drusilla, che aveva lasciato il marito per fuggire alla corte di Marco Antonio Felice, procuratore di Giudea, stesso ruolo di Ponzio Pilato una quindicina di anni dopo, e Berenice, la quale ebbe invece una storia d’amore molto chiacchierata con l’imperatore Tito.
Anche un altro papa, Leone I, detto Leone Magno, sembra provenisse da Volterra. I vescovi volterrani fin dall’antichità godettero di privilegi e poteri di natura temporale e spirituale che furono conferiti loro da re, principi e imperatori. Tutto ciò successivamente al primo Vescovato di Volterra conferito direttamente da Pietro a San Romolo, che fu mandato da lui insieme ad altri discepoli a convertire Volterra e Fiesole liberandole dalla superstizione e dai falsi idoli.

Solitaria e appollaiata su un colle, Volterra domina dall’alto la terra friabile delle balze e la bella campagna della Val di Cecina. Città del sale e dell’alabastro, tutte ricchezze lasciate al territorio dal mare, Volterra era sede di un grande mercato a cui giungevano le genti che dai territori sulla costa tirrenica intendevano commerciare i loro prodotti con le zone dell’interno.
Le miniere di sale, conosciute fin dal tempo degli Etruschi, e la scoperta dell’allume nel sottosuolo durante il Rinascimento, accrebbero ulteriormente la ricchezza della gloriosa Velathri, il nome etrusco della cittadina, e furono il motivo di agguerrite dispute fra le famiglie potenti per accaparrarsi le concessioni. Per sedare le rivolte, il Consiglio di Volterra, nominò come giudice Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze. Il popolo, amareggiato per le decisioni prese dal Magnifico, si ribellò, i Fiorentini cinsero allora d’assedio Volterra e il 18 giugno del 1472 riuscirono a prenderne possesso. Gli eventi sono passati alla storia con il nome di Sacco di Volterra. Durante questo saccheggio scomparvero molti tesori preziosi e anche le tante reliquie che la città conservava. Fra queste alcuni resti del piede di San Pietro, che si trovavano nella chiesa di San Pietro vecchio in Selci ed erano stati donati alla città dal papa Callisto II.



Volterra ha continuato la sua vocazione di grande luogo di scambio fino agli inizi del XX secolo, quando la crisi agricola e le modifiche viarie ne fecero decadere l’importanza.
I resti delle mura etrusche sono visibili in alcuni tratti della cerchia medievale, e nel punto più alto del borgo, dove si trova il Parco Enrico Fiumi, ci sono le rovine di quella che in epoca etrusca era l’Acropoli.

Nelle mura in basso si trova la Porta all’Arco, anticamente detta Porta d’Ercole, una delle porte ad arco più antiche del mondo. Risale al IV secolo a.C., la possiamo ammirare ancora oggi nella maestosità delle grandi pietre in tufo e arenaria e adorna di una parte superiore costruita nel I secolo a.C. che presenta tre teste, probabilmente dedicata a tre leoni, a una tetrarchia o alle divinità protettrici della città.
La Porta che chiamasi Porta ad Arco, per corruzione del vocabolo quale anticamente si chiamava Porta d’Ercule e al presente Porta delle Moie, sta aperta infino alle ore due di notte per rispetto di quelli che conducano il sale alla città al suo edificio
da Cronistoria dell’antichità e nobiltà di Volterra, 1613, Google books

Nel Museo Guarnacci possiamo osservare reperti storici di notevole interesse, fra i quali la misteriosa Ombra della sera.
Questa enigmatica statuetta è divenuta celebre per la particolarità dell’espressione facciale e per le proporzioni del corpo non consuete, allungate, quasi in stile moderno. Esempi di statuette simili sono state ritrovate vicino ad aree sacre etrusche, da questo deriva l’ipotesi di uno scopo votivo o comunque legato ad aspetti spirituali. Il nome le fu attribuito da Gabriele d’Annunzio, che ne rimase affascinato come da una Gioconda di epoca Villanoviana.

D’Annunzio giunse a Volterra il 26 Ottobre 1909 a bordo di una grande automobile. Era accompagnato dalla nuova fiamma, la cantante russa Donatella Cross. Conosceva già Volterra, c’era stato nel 1897 e l’aveva inserita nelle Laudi, fra le Città del Silenzio dell’Elettra. Dalla città di vento e di macigno trasse poi ispirazione per il Forse che sì, forse che no. Fu una visita minuziosa la sua, nella quale frequentò i musei, incontrò persone e fece diverse passeggiate notturne per il paese. Il poeta e la sua amante soggiornarono all’Albergo Nazionale, proprio all’ingresso del borgo dalla parte del grande parcheggio. Una targa sulle pareti dell’Hotel ricorda il suo passaggio.

A Volterra troveremo anche considerevoli rovine romane. Gli Etruschi, caduti sotto la supremazia di Roma, seguirono l’esempio dei dominatori dotandosi di un teatro e di un complesso termale. Furono entrambi finanziati dalla gents etrusca dei Caecina. Di recente sono stati scoperti a Volterra anche i resti di un anfiteatro.
I Romani rispettarono la tranquilla e intelligente civiltà etrusca, dalla quale appresero abilità manifatturiere e architettoniche.


Volterra è stata negli ultimi decenni nota per un famoso penitenziario e per il grande Ospedale psichiatrico, nato come ospizio per i poveri nel 1884 e progressivamente ampliato e trasformato in Frenocomio a partire dal 1888. Venne poi chiuso definitivamente nel 1977 con la legge Basaglia.
Il manicomio di Volterra è tra i migliori e più umani d’Italia. Il sistema vigente è quello di curare tramite il lavoro, elargendo ai malati il maggior grado di libertà consentito dal loro stato… A Volterra vige una fiducia, che credo unica nel mondo, di fronte ai malati di mente. La città non li teme, sicura che se fossero pericolosi i medici del manicomio non li farebbero uscire. Essi trovano amici, sono invitati a bere, possono partecipare ai discorsi… In questa cittadella dalle mura grigie, il pazzo si mescola al savio; potrebbe essere un soggetto letterario potente…
da Viaggio in Italia di Guido Piovene, 1953

Sotto la direzione del dottor Luigi Scabia, il manicomio di Volterra era come un villaggio autosufficiente, con l’azienda agricola, il forno, l’officina, la lavanderia, un proprio giornale dal titolo Torniamo alla vita e addirittura una propria moneta, l’OPV. A Volterra arrivavano i malati mentali da tutte le parti d’Italia e anche dall’estero. Venivano internati per vizi di mente più o meno gravi, e suddivisi nei vari padiglioni che ricoprivano una superficie di 30.000 metri quadri di costruzioni, oggi molti in decadimento.
Le varie palazzine si trovano dislocate nella zona di San Lazzaro e del Poggio alle Croci, dove in epoca etrusca si trovavano le aree sacre e le necropoli. Nel medioevo sul Poggio alle Croci erano state istallate tre croci lignee, e da questo deriva il nome.

Il dott. Scabia, dai metodi talvolta criticati ma sempre fedele al sogno di restituire alla vita normale i suoi pazienti, morì nel 1934 dopo 34 anni dedicati con cura al frenocomio. Alla sua morte volle essere sepolto nel Campaccio, vicino alle tombe dei malati non richiesti da nessuno. In seguito l’ospedale acquisterà un terreno per questo scopo, il cimitero di Sanfinocchi, dal nome della famiglia dalla quale fu acquistato e che venne chiuso nel 1977 insieme all’Ospedale.

I Sanfinocchi erano una famiglia di ricchi muratori volterrani. Pietro Sanfinocchi fu canonico della Cattedrale di Volterra nel 1780.
E’ ricordato per un fatto curioso: egli salvò dalla furia del popolo l’aquila di legno dorato che sorregge il leggìo nel pulpito del duomo. Era stata intagliata nel 1580 dallo scultore Jacopo Paolini di Castelfiorentino, lo stesso autore del bellissimo soffitto a cassettoni. Fu poi dorata inseme al soffitto dal pittore Fulvio della Tuccia di San Gimignano, che venne pagato per 7 giornate a dipingere e decorare più cose nella chiesa.
I cittadini avrebbero voluto bruciare l’aquila perchè la ritenevano l’emblema dell’impero di Napoleone, il Sanfinocchi spiegò che quello era il simbolo dell’evangelista Giovanni. E l’aquila allora fu lasciata al suo posto.
Le opere erano state volute e pagate a proprie spese dal vescovo Guido Serguidi e cofinanziate dalla popolazione volterrana.


Nel duomo di Volterra si trovano un ciborio in marmo di Mino da Fiesole e nella cappella vicino all’entrata, è conservata una tavoletta con il monogramma JHS donata alla città da San Bernardino da Siena, che predicò a Volterra nel 1424 suscitando grande entusiasmo nella popolazione. La cattedrale, consacrata dal papa Callisto II nel maggio 1120, sorge nel luogo dove sembra sia stata la casa del pontefice Leone I.


Fra i pazienti dell’ospedale psichiatrico di Volterra ci fu Fernando Oreste Nannetti, nato a Roma nel 1927 e internato dall’età di 10 anni. Trascorse l’intera esistenza chiuso nei manicomi. A Volterra giunse nel 1958 e vi rimase anche dopo la chiusura dell’ospedale. E’ noto per aver inciso con la propria fibbia dell’uniforme più di 180 metri di graffiti, realizzati sulle pareti esterne e all’interno del padiglione Ferri.
Sono materialista e spiritualista, amo il mio essere materiale perchè sono grande e amorevole con il mio spirito
da un pensiero di NOF4.
Nel 2011 un fac-simile del libro di pietra del Nannetti è stato oggetto di una mostra e inserito come capolavoro dell’arte brut a Losanna in Svizzera.

Volterra vale di sicuro una visita. La sua importante e ancora piuttosto sconosciuta storia, i resti romani ed etruschi, i palazzi medievali, le case torri e i musei del territorio, costituiscono interessanti motivi per raggiungere il luogo. L’espressione beffarda dell’ombra della sera è come se volesse ricordarci di guardare sempre al di là, delle apparenze, dei giudizi. L’importanza del tenere a mente e del non dimenticare, che tutto poi torna.

Per concludere la visita della città, potremo curiosare nei laboratori di alabastro, pietra tipica di Volterra che ancora oggi viene lavorata a mano da abili artigiani. E magari terminare la serata con una cena in uno dei numerosi ristoranti del centro.



Nei ristoranti di Volterra si offre ancora la zuppa di pancotto e verdura, condita con l’olio di oliva e con le erbe aromatiche… Girando per le strade si scorge ad ogni passo un laboratorio dove gli artigiani lavorano l’alabastro con una lima come si fa col legno… Le belle piazze e le strade in pendenza, le case-torri, uniscono la suggestione medievale a quella remota del museo etrusco, che è tra i più ricchi d’Italia.
da Viaggio in Italia di Guido Piovene



E’ adorna la città di tanti palazzi, di torri, di campanili, di nobiltà, di ricchezze… copiosa e abbondante di frumento, di vino, di olio, di biade, di legumi, di carne, di bestiami, di uccelli, di selvaggiumi, di pollami, di cacio, di castagne, di pomi e frutti di ogni sorte… E’ meravigliosa per la fertilità del suo contado il quale produce in abbondanza grande rame, vetriolo, allume, zolfo e molti altri metalli. Abbonda anche di bagni e acque che sono buone e salutifere… e bianchissimo sale e nobile marmo nominato alabastro
da Cronistoria dell’antichità e nobiltà di Volterra, 1613, Google books