Giovanni Pico della Mirandola, un umanista incompreso

Quando nei primi mesi del 1484 il giovane Giovanni Pico, conte della Mirandola e di Concordia, arrivò a Firenze, fu come una scintilla che si inserì in modo determinante nell’effervescente clima culturale che da qualche decennio caratterizzava la città. Nato nel 1463 a Mirandola, un piccolo borgo dell’Emilia Romagna dove la famiglia aveva istituito una signoria, Giovanni Pico si disinteressava dei giochi di potere disputati dai fratelli, dedicandosi essenzialmente allo studio. Era bello, alto, dai lunghi e fluenti capelli chiari, il fisico possente, gli occhi espressivi e dolci, e soprattutto era molto intelligente. La memoria e l’acutezza delle sue osservazioni erano proverbiali e lo avevano reso un personaggio acclamato dalle più importanti corti europee.

A soli 21 anni Giovanni era già molto famoso e il suo arrivo veniva atteso con curiosità dagli intellettuali fiorentini.

Firenze, il Duomo

Dopo Dante, Petrarca e Boccaccio, che per primi avevano introdotto il culto dell’uomo, dopo il Concilio di Firenze e l’arrivo in città dei numerosi pensatori bizantini successivamente alla caduta di Costantinopoli, Firenze era al centro degli interessi di artisti, religiosi e letterati. Cosimo il Vecchio, nonno di Lorenzo il Magnifico, da appassionato umanista, già nel 1459 insieme a Marsilio Ficino, aveva fondato a Firenze l’Accademia Neoplatonica e finanziato la costruzione di una biblioteca pubblica, che fu annessa alla chiesa e al convento di San Marco, anche questi ristrutturati grazie al suo finanziamento.

Biblioteca di San Marco, Firenze

La biblioteca, come ci racconta Vespasiano da Bisticci, mercante di manoscritti a Firenze, fu allestita con 800 codici donati a Cosimo dalla biblioteca personale di Niccolò Niccoli, un appassionato intellettuale della città. Altri libri vennero comprati a Lucca dai frati Francescani per conto di Cosimo, che mandò Vespasiano a trattare con Michele Guinigi, il signore della città. Una serie di classici furono scelti invece da Tommaso Parentuccelli, precettore nelle famiglie Strozzi e Albizzi, eletto poi papa con il nome di Nicolò V. Il Parentuccelli era da tempo appassionato di libri antichi e li andava traducendo in latino con molta devozione. Una volta divenuto pontefice continuerà in questa sua passione per i vecchi codici contribuendo alla nascita della Biblioteca apostolica vaticana e allo svilupparsi delle idee umanistiche.

Sempre a caccia di manoscritti antichi nei vecchi monasteri, Vespasiano da Bisticci conobbe Giovanni Pico della Mirandola in un giorno di Aprile del 1490. Il filosofo della Mirandola si trovava nel convento di Santa Brigida del Paradiso in Pian di Ripoli a Firenze, insieme all’amico Agnolo Ambrogini, detto il Poliziano. Il bibliotecario, frate Gregorio, annoterà con cura la presenza di questi illustri visitatori nel suo convento.

Qui Vespasiano viene accolto da due amici. Uno è Poliziano, che quasi venti anni prima ha reso un sontuoso omaggio a Vespasiano perchè ha riportato in vita i grandi uomini del mondo antico… l’altro è Pico della Mirandola, amico di Marsilio Ficino e come lui appassionato di Platone: un intellettuale magistrale, alto e dagli occhi verdi, che sa leggere, tra le altre lingue, l’aramaico e il caldeo… Lo sbalordito Ficino lo considera appartenente a una “razza superumana”…

da Il libraio di Firenze di Ross King, 2022

Lapide commemorativa del martirio del Savonarola e dei confratelli, Piazza della Signoria

La biblioteca pubblica di San Marco era frequentata dagli intellettuali della città, che sotto l’attenta gestione dei frati, potevano consultare i numerosi testi classici e religiosi scritti in latino, greco, ebraico, arabo. I libri erano disposti su banchi di cipresso, legno aromatico che allontanava le temibili tarme, e alcuni, i più preziosi, erano fissati al tavolo con catenelle. I frati ne erano custodi attentissimi.

Mi mancano alcuni esempi per finire i libri della Badia a Fiesole; sono andato a San Marco, ma dicono che non li possono prestare senza vostra licenza, pena di scomunicazione. Vi piaccia di far fare una poliza al Priore che me li presti fin tanto si possino finire

da una lettera del 1463 da Vespasiano da Bisticci a Cosimo de Medici

Alcuni anni dopo, all’ingresso della biblioteca di San Marco, il monaco Girolamo Savonarola, priore del convento dal 1491, ardente contestatore contro la corruzione dell’epoca, venne arrestato a causa delle sue prediche infuocate che spiegavano l’Apocalisse. Era la notte dell’8 Aprile 1498. Dopo qualche giorno, il 23 maggio, sarà condannato all’impiccagione e al rogo in Piazza della Signoria a Firenze insieme ai due confratelli Domenico Buonvicini e Silvestro Maruffi. Un disco circolare sul pavimento della piazza ne ricorda il martirio. Savonarola scrisse in quel tempo un ultimo pensiero al papa:

Beatissimo Padre…almeno da te, dalla Tua Beatitudine, avrei meritato non già tanta contraddizione, ma aiuto… Tu invece hai prestato orecchio a tutti i miei calunniatori… Hai dato aiuto e incoraggiamento ai lupi

da Fra Silvestro Maruffi, ed. Cantagalli, Siena, 1996

Una cella del convento di San Marco con affreschi di Beato Angelico

Cosimo de’Medici, il Pater Patriae, come fu chiamato, si era fatto una sua cella nel corridoio del convento di San Marco, nella parte riservata ai laici. Alcune pareti del monastero e piccoli riquadri all’interno delle celle erano stati affrescati dal Beato Angelico con le storie di Gesù. Li possiamo vedere ancora oggi. Cosimo si rifugiava in quel convento per meditare e pregare. Anche Pico della Mirandola vi trovò il suo rifugio negli anni fiorentini.

Il giovane conte di Mirandola aveva studiato e si era fatto notare alla Sorbona a Parigi. Aveva viaggiato per l’Italia soggiornando nelle corti di Padova, Pavia, Bologna e Ferrara e probabilmente aveva già conosciuto il Savonarola, originario di questa città. Firenze era un posto che aveva sempre auspicato di frequentare. Era soprattutto lì e a Venezia che si erano rifugiati gli intellettuali bizantini dopo l’esodo da Costantinopoli. Giovanni Pico, pieno di entusiasmo, era certo di portare qualcosa di nuovo per l’evoluzione del pensiero.

Convento di San Marco, il chiostro

I molti intellettuali invece, soprattutto per invidia, lo criticavano ritenendo la sua erudizione poco profonda e poco originale. Giovanni Pico della Mirandola venne accusato di esoterismo e di divulgare ingenuamente misteri arcani, cosa che secondo i teologi non andava fatta. In realtà il messaggio di Giovanni era semplice ed evangelico. Egli pensava che l’atteggiamento elitario non fosse compatibile con quello che Cristo aveva detto di fare. L’uomo per Pico della Mirandola era la creatura per eccellenza, colui che con il suo comportamento e con la libertà che gli era stata data da Dio, avrebbe potuto elevarsi ed evolvere, oppure retrocedere allo stato di bruto. L’uomo era artefice del suo destino perchè il Creatore aveva voluto così, ed aveva grandi potenzialità che andavano coltivate per il progredire dell’umanità e della verità delle cose. Questa era l’idea primaria al centro dell’ardente pensiero dell’umanista. Le lettere al caro nipote Gian Francesco Pico mostrano la sua profonda spiritualità.

Sarebbe un miracolo se ti fosse aperta la via al cielo tra i mortali senza sudore… come se i demoni malvagi avessero cessato di esistere… Ci può essere vittoria dove non c’è battaglia? “… Se cercassi di piacere agli uomini non sarei servitore di Cristo”. A volte provo una specie di estasi e stupore quando comincio a studiare gli studi degli uomini, o per dirla in modo più significativo, le semplici follie. Non so se pensare, piuttosto che addolorarmi, meravigliarmi o lamentarmi. Perchè è veramente una grande follia non credere al Vangelo, la cui verità grida la voce dei martiri, risuona la voce degli apostoli, la provano i prodigi, la conferma la ragione, il mondo ne rende testimonianza, gli elementi parlano, i demoni lo confessano…

da una lettera di Giovanni Pico al nipote Gian Francesco, Ferrara, 15 Maggio 1492

Annunciazione, Beato Angelico, Convento di San Marco

Il trattato che Giovanni Pico scrisse per introdurre il suo pensiero fu pubblicato postumo da Gian Francesco, il nipote, e venne successivamente preso a manifesto per il Rinascimento con il titolo di Oratio de Hominis dignitate. Il fatto è che per lui, e per molti di questi primi umanisti, non si trattava di quel rinnovamento laicizzante che caratterizzò poi l’evolversi di quest’epoca.

I Pitagorici trasformano gli uomini scellerati, in bruti e, se si crede ad Empedocle, anche in piante. Maometto ripeteva spesso e a ragione, che chi si è allontanato dalla legge divina diventa un bruto… Ci invada l’animo una sacra ambizione, così che non contenti delle cose mediocri aneliamo alle somme, e ci sforziamo di conseguirle con tutte le forze…

da Oratio de Hominis dignitate di Pico della Mirandola

Parole il cui fine era solo quello di esaltare l’uomo e unificare tutte le religioni e i pensieri filosofici in un unico sentire. “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” aveva detto Cristo, e per Pico c’era un po’ di divino in ogni uomo dal pensiero elevato, povero o ricco che fosse.

Cosimo il Vecchio, ritratto da Pontormo
Chiostro del Convento di San Marco a Firenze

Già il papa umanista Pio II Piccolomini di Pienza, prima di infervorarsi con l’idea delle crociate, nel 1461 aveva scritto una lettera al sultano Maometto di Costantinopoli per cercare di conciliare le idee religiose. La lettera, nota in tutte le corti d’Europa e che probabilmente non venne mai recapitata al destinatario, fu molto criticata e derisa dai potenti, ma probabilmente Giovanni Pico avrebbe condiviso.

Il conte della Mirandola, con l’esuberanza dei giovani, avrebbe voluto discutere con il papa e con i maggiori teologi dell’epoca quelli che erano i suoi dubbi e le sue inquietudini. Per questo studiava di tutto e nelle lingue originali. A differenza degli altri intellettuali, non si legò mai a nessuna tesi filosofica o idea in particolare. Conosceva il Greco, l’Aramaico, il Latino, le teorie di Platone, Aristotele, Avicenna, Averroè, Agostino, Tommaso. Con autentico spirito umanistico la Fenice degli Ingegni, come fu chiamato, divorava gli antichi testi ebraici, egizi, greci, in un delirio di pensieri, cercando i nessi e le concatenazioni che secondo Lui avrebbero sicuramente portato a Cristo, il fine e l’inizio delle cose, colui che c’era sempre stato nella mente dei filosofi anche antecedenti alla sua venuta. Perchè filosofare per Pico della Mirandola equivaleva a fare teologia. Egli pensava che anche Platone, Pitagora, Aristotele fossero stati influenzati dai libri mosaici degli Ebrei e che tutti parlassero della venuta di Gesù.

Biblioteca del Convento di San Marco, Firenze
Cella del Savonarola, Convento di San Marco

Qualunque cosa io abbia scritto o scriva in avvenire, vale l’avvertenza che deve essere ritenuto giusto e santo soltanto quello che giusto e santo giudicano il Sommo Pontefice e tutti coloro il cui giudizio sarà stato da lui fatto proprio.

da Pico della Mirandola di Jader Jacobelli

Così nel 1486 chiese il permesso di poter indire un grande congresso a Roma alla presenza del papa Innocenzo VIII e dei cardinali e teologi che sarebbero voluti intervenire da tutta Europa, anche a sue spese. Si era riproposto di discutere insieme le 900 tesi che aveva individuato, in modo da delineare un pensiero comune. Le invidie scatenate da questo ambizioso progetto furono molte. Come si permetteva un giovane di poco più di venti anni anche solamente pensare di poter arrivare a tanto? L’intelligenza di Pico lo rendeva consapevole di tutto questo.

Padri, con orecchio benigno, conforme alla vostra umanità, siate indulgenti verso questa mia opera

da Oratio de Hominis dignitate di Pico della Mirandola

Il papa, mosso da pensieri contrastanti e dalle voci maligne che gli giungevano, rinviò la disputa chiedendo ad una commissione d’inchiesta di informarsi sulle tesi che avrebbero dovuto discutere. Una decina di queste furono dichiarate eretiche e l’incontro non avvenne. Questo spinse Giovanni Pico a scrivere un’Apologia per difendersi, cosa che non fece altro che esasperare ancora di più il pontefice, il quale lo condannò vietando la lettura e la stampa dei suoi scritti. Essendo dopo questo fatto molto amareggiato, Giovanni Pico della Mirandola si recò in Francia, ma i suoi nemici, insinuando che volesse presentare le tesi in quel paese, lo fecero arrestare su mandato del papa e imprigionare nella rocca di Vincennes.

Basilica di San Marco e ingresso al convento – museo

Lorenzo de’ Medici, magnate e protettore di artisti e intellettuali, stimava il conte Pico e si adoperò molto per la sua liberazione scrivendo più volte a Roma per implorarne la scarcerazione:

Il signore della Mirandola è dottissimo in fatto e in opinione degli uomini, e non credo sia bene disperarlo di pigliare qualche via cattiva, credo sia più reducibile con le dolci

da una lettera di Lorenzo de’ Medici alla corte papale di Roma

Il papa Innocenzo si convinse e concesse a Pico di tornare a Firenze a patto di non risiedere in città. Il Magnifico gli procurò alloggio in una villa sulle colline fiesolane, il Querceto, vicino Settignano. Qui Pico rimase alcuni anni dedicandosi alla meditazione e allo studio e vivendo in quasi totale isolamento come un monaco, rallegrato solo dalla visita saltuaria di alcuni amici come Angelo Poliziano. In seguito alla morte del papa, la sua condanna fu revocata dal papa Borgia Alessandro VI, colui che successivamente farà processare Savonarola. Giovanni Pico scrive a Lodovico Podocataro, neo eletto segretario e medico personale del papa, congratulandosi con lui e ringraziandolo per il suo interessamento

e nonostante nessuno dei miei offici ti risaltasse, hai voluto dedicarti interamente a me e alle mie cose, come se non avessi altro da fare che elogiarmi e difendere la mia dignità con ogni mezzo possibile… La tua grande benevolenza verso di me non avrebbe potuto avere altre cause che la bontà della tua natura… Ti ho allegato queste lettere come lettere venerabili e di congratulazioni per il nostro Santissimo Pontefice. Se ti sembrano invadenti o imprudenti vorrei che le cestinassi, a meno che tu non decida diversamente e le sosterrai con la tua giovane autorità…

da Lettere di Giovanni Pico della Mirandola, Leo S. Olschki editore, 2018

Chissà se quelle lettere furono mai recapitate al Pontefice e soprattutto sarebbe interessante conoscerne il contenuto, se ancora esistono. Comunque è evidente l’umiltà e la schiettezza del conte di Mirandola, che però nonostante l’affetto e la riconoscenza per il Magnifico o chiunque altro, non si legò mai a nessuna persona, signoria o fazione politica, nè a nessun pensiero filosofico in particolare

Mi fai notare che è ormai tempo che presti la mia opera a questo o a quello dei più potenti principi italiani. Si direbbe che tu non capisca quanto animosamente ragionino i filosofi… Essendosi abituati alla solitudine e al colloquio con se stessi, non possono piegare la loro condotta al servilismo umiliante…

da una lettera di Pico della Mirandola ad Andrea Corneo.

Come scrisse il nipote Gian Francesco Pico, il quale si occupò scrupolosamente che il pensiero dello zio non venisse dimenticato pubblicando postumi molti suoi scritti, egli amava sopra ogni cosa la libertà, a cui lo disponevano sia la sua inclinazione naturale sia lo studio della filosofia.

Firenze, Ponte Vecchio

I fraintendimenti e le distorsioni di interpretazione delle sue idee gli causarono molto dispiacere. La lotta contro l’astrologia, all’epoca corporazione assai potente alla quale anche gli stessi intellettuali e religiosi facevano spesso riferimento, il suo fervore contro le divinazioni, la superstizione e la magia, giudicate da lui prive di fondamento, erano caratteristiche fondamentali del pensiero di Pico ma divennero paradossalmente le principali ragioni per cui fu condannato. Egli cercando di conciliare tutte le tradizioni e dottrine, volle ritenere che la magia (cioè l’osservazione degli astri, non la stregoneria che era assolutamente esecrabile) fosse una scienza di interpretazione della natura al pari delle altre. In fondo nel Vangelo si parlava anche di magi e gli stessi Cosimo il Vecchio e Piero de’ Medici, il padre di Lorenzo, nel 1459 avevano commissionato a Benozzo Gozzoli l’affresco della cappella privata del loro palazzo di Via Cavour con il corteo dedicato ai re magi, che il 6 gennaio di ogni anno partiva dal convento di San Marco per percorrere le vie cittadine.

Per Pico la Cabala ebraica, cioè l’interpretazione mistica e arcana delle scritture, avrebbe potuto essere la più grande prova della divinità di Gesù, il quale era superiore e non era affatto un mago, ma sicuramente consapevole di tutto.

L’ispirazione di Pico non derivava dall’umanesimo dei suoi contemporanei, ma dalle antiche fonti cristiane, come, ad esempio, Agostino, che aveva avversato l’astrologia proprio in nome del valore dello spirito, che “la dottrina di Cristo aveva consacrato”

da Pico della Mirandola, di William G. Craven, 1981

Panorama sull’Arno e Firenze
Palazzo Medici, Firenze

Le donne erano affascinate dal conte di Mirandola e lui sembrava non disdegnare, anche se i suoi interessi erano tutt’altro che mondani. Una volta una gentildonna di Arezzo di nome Margherita, sposata con Giuliano di Mariotto de’ Medici, si invaghì di lui e probabilmente contraccambiata, inscenò una romantica fuga d’amore piombandogli in carrozza mentre viaggiava verso Roma. Anche in questo caso Pico, che fu imprigionato dal marito, venne scarcerato grazie all’intervento di Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze.

Il monaco rivoluzionario Girolamo Savonarola sempre così polemico e burbero, fu un amico e ispiratore del conte di Mirandola, e a sua volta venne ispirato dalle da lui. Fu su insistenza di Giovanni Pico che il frate ferrarese venne richiamato per la seconda volta a Firenze da Lorenzo il Magnifico, che si rivolse per ottenere questo al maestro Generale dell’Ordine Domenicano affinchè lo rimandasse in San Marco. Il Savonarola, che si scagliava focosamente contro la corruzione, compresa quella della corte dei Medici e della Roma papale, aveva per Pico una grande stima e lo descrisse con queste parole:  Il suo animo era diverso, era umile e buono, e la fama, gli elogi e l’opinione che aveva di sè, non erano arrivati a guastargli il cuore.

da Storia di Girolamo Savonarola di Pasquale Villari

Stranamente non esistono ritratti che raffigurano Pico della Mirandola: per un uomo all’epoca così in vista e conosciuto in tutte le corti nobili è una cosa abbastanza inconsueta. I suoi nemici probabilmente vollero oscurarne perfino la memoria. Ne è rimasto solamente un dipinto probabilmente caricaturale, presente oggi agli Uffizi, e ovviamente opera di ignoto. Esistono anche qualche altra miniatura, o piccole immagini successive tutte evidenti copie di questo.

Pico della Mirandola, anonimo, Uffizi, Firenze
Uffizi, Firenze

Nel dipinto Pico è ritratto di profilo. Si notano il naso ben pronunciato, i lunghi capelli, la bocca carnosa e un accenno di gozzo. Niente di affascinante più di tanto. Ma le numerose lettere dell’epoca parlano spesso della sua estrema avvenenza che era tale da ammaliare sia uomini che donne. Il fedele nipote Gian Francesco lo descrive con queste parole:

Era bello di corpo e grazioso d’aspetto. Ebbe portamento distinto e nobile, statura alta ed eretta, carnagione delicata, volto avvenente, occhi azzurri e vividi, capelli di un biondo naturale, denti candidi e uguali.

Il poeta Angelo Poliziano, che riconosce a Pico il pregio di averlo fatto riavvicinare alla filosofia, così commenta: Questo nobilissimo principe è l’unico uomo, o piuttosto eroe, ricco di tutte le doti della fortuna, del corpo e dell’anima, perchè è un giovane di fattezze quasi divine, di maestà di corpo, di ingegno elevatissimo. di singolare memoria, di infaticabile studio… non so se più mirabile nel giudizio o nei costumi

Cappella del Santissimo Sacramento, chiesa di Sant’Ambrogio, Firenze

Fortunatamente essendo consuetudine all’epoca raffigurare le persone più in vista della città negli affreschi di chiese e palazzi, una sicura immagine di Pico la possiamo osservare nell’affresco di Cosimo Rosselli del 1486 esistente nella Cappella del Sacramento della chiesa di Sant’Ambrogio a Firenze.

Il giovane è ritratto in veste verde ad una processione per il miracolo del Santissimo Sacramento proprio nella piazza della suddetta chiesa fiorentina. Insieme a lui ci sono Marsilio Ficino, che all’epoca aveva 54 anni e Poliziano, di una decina di anni più adulto di Pico. Il conte appare un po’ imbronciato e i due amici sembrano consolarlo. E’ emblematico che tutti e tre i pensatori siano stati raffigurati in primo piano nel corso di una processione.

Pico della Mirandola, Poliziano e Marsilio Ficino nell’affresco di Cosimo Rosselli, chiesa di Sant’Ambrogio, Firenze

Giorgio Vasari cita questo affresco nella Vita di Cosimo Rosselli e giudica l’opera una delle migliori del pittore:

Di naturale, oltre a molti altri, vi è ritratto Pico della Mirandola tanto eccellentemente che pare non ritratto, ma vivo

Da Vita di Cosimo Rosselli di Giorgio Vasari

Chiesa di Sant’Ambrogio, Firenze

La Chiesa di Sant’Ambrogio fu costruita nel luogo dove nel 393 soggiornò Ambrogio, vescovo di Milano. Nel 1230 vi si verificò un miracolo di trasformazione di alcune gocce di vino in sangue, avvenimento che fu precedente di 30 anni a quello di Bolsena per il quale venne edificato il duomo di Orvieto. Il calice rimase protetto e nascosto nella chiesetta per secoli. Nel medioevo la chiesa di Sant’Ambrogio divenne meta di pellegrinaggi e fu una delle più importanti della città. Era piena di begli affreschi e opere d’arte che successivamente sono state spostate nei vari musei. In Sant’Ambrogio si trovano i sepolcri di Simone del Pollaiolo, di Verrocchio, di Mino da Fiesole (che realizzò il tabernacolo in marmo nella Cappella del Sacramento) e di Francesco Granacci, grande amico di gioventù di Michelangelo, entrambi allievi alla bottega del Ghirlandaio. Alcuni degli affreschi medievali sono rimasti nella chiesa, come una interessante Deposizione dalla Croce del secolo XIV di Niccolò Gerini, pittore appartenente alla scuola giottesca.

Niccolò Gerini, a lungo disprezzato dalla critica moderna che gli ha generalmente attribuito la qualifica di modesto mestierante ritardatario, fu invece stimato dai contemporanei come uno dei principali interpreti della cultura figurativa fiorentina, a cui vennero di conseguenza assegnate un gran numero di importanti commissioni

da Il Paradiso in Pian di Ripoli, Studi e ricerche su un antico monastero, Firenze 1985

Il facoltoso mecenate Antonio degli Alberti scelse infatti Niccolò Gerini per dipingere l’intero ciclo di affreschi del monastero di Santa Brigida al Paradiso, uno dei più importanti conventi di fine medioevo di Toscana, che fu da lui fondato nel 1390 nel luogo dove l’Alberti aveva una villa con cappella, denominata Il Paradiso. Il convento inglobò nel tempo molti altri monasteri toscani come quello del Castello di Badia a Poggibonsi. Lo scrittore Giovanni di Gherardo da Prato prenderà spunto dal convento del Paradiso in Pian di Ripoli per scrivere il suo romanzo Paradiso degli Alberti, una serie di novelle che volevano ispirarsi al Decameron di Boccaccio. Il monastero, che alimentava chiacchiere e derisioni in quanto ospitava monaci e suore (in edifici separati) è oggi inglobato nelle costruzioni, ma in parte è stato ristrutturato. Fu un importante centro di ritrovo dei primi umanisti, data anche la presenza dello scriptorium monastico femminile che in seguito diventò uno dei primi centri di scrittura a stampa. Le suore furono successivamente spostate in Sant’Ambrogio a Firenze.

Deposizione dalla Croce, affresco attribuito a Niccolò Gerini, chiesa di Sant’Ambrogio, Firenze

L’esigenza di rinnovamento sentita dagli Umanisti e soprattutto da Pico della Mirandola consisteva essenzialmente nel rinnovamento portato da Cristo con la sua venuta sulla Terra e non quello che diventò successivamente nel periodo rinascimentale. Infatti attraverso la vuota esaltazione della società e dell’uomo, con il tempo tutto venne fuorviato e subì un processo di laicizzazione che portò al distacco fra quello che era ritenuto pregevole dagli uomini nobili e quello che era plebeo, cosa che non accadeva nel Medioevo. In una società corrotta quando il bene avanza il male ostacola e si scatena.

Chiesa di Sant’Ambrogio Firenze

Con la riscoperta della storia antica, anzichè sviluppare la capacità di critica, si volle spesso esaltare il paganesimo e gli antichi culti. Nelle corti rinascimentali si iniziarono a rappresentare gli dei pagani e i miti antichi escludendo il ruolo ispiratore che la Chiesa aveva avuto sull’arte del Medioevo. Tutto ciò significava anche distruggere la potenza della Chiesa nei confronti degli imperi. Gli artisti, sotto la protezione dei ricchi borghesi e della nobiltà, sottostavano agli ordini dei potenti, che erano spesso inconsapevoli, inibendo il loro ingegno per paura, per ricatto o smania di gloria e denaro.

Le eleganze stilistiche e formali, vuote di contenuto, l’etichetta, le formule rigide nell’architettura e nell’urbanistica furono imposte dai Signori agli artisti del Rinascimento con l’obbligo di rimanere in quei dettami. La rigidità accademica si estese anche alla natura con la nascita dei cosiddetti giardini formali, fatti di siepi e alberi perfettamente potati, aiuole geometriche, grotte, labirinti e ninfei, opere di sola rappresentanza per un’elite, che divennero strumenti di dominio, sfoggio di lusso e smania di potere. Le formule matematiche presero il posto delle idee libere, le litanie ripetute, quello delle preghiere spontanee e dello slancio del cuore. Tutto apparentemente venne congelato. Il popolo fu tagliato fuori dal rinnovamento e apparentemente manovrato.

Solo alcuni liberi e veri artisti riuscirono ad andare contro questa tendenza che introduce direttamente nell’era moderna e porta fino ai nostri giorni, vedi il Botticelli, che negli ultimi periodi inizia a dipingere fuori prospettiva alla maniera medievale, o il genio irascibile di Michelangelo, il quale sempre ribelle alle imposizioni, era capace di litigare con papi e principi fuggendo e lasciando incompiute le sue opere pur di salvaguardare le sue idee, oppure introducendo accorgimenti fuori dalle regole come per esempio un David poco proporzionato con testa e mani enormi. L’idea che domina la materia pur conservandone la bellezza e l’armonia. L’arte in cui c’è posto per il sentimento, per il sacro.

Affresco della Madonna delle Ombre di Beato Angelico, Convento di San Marco,

Girolamo Savonarola e in seguito la Riforma Protestante con i suoi princìpi, furono una conseguenza portata dal degrado di questa società, tutta apparenza, lusso ed esteriore. La mancanza di punti di riferimento forti, contribuì a dare il colpo di grazia all’Italia, che con il suo immenso patrimonio storico, artistico e culturale diventò oggetto per eccellenza di predominio delle mire straniere.

Il volto di Pico della Mirandola, ricostruito da studi forensi nel 2019
Cella del Savonarola, Convento di San Marco

Giovanni Pico della Mirandola morì misteriosamente il 17 Novembre del 1494 a poco più di 30 anni, 2 anni dopo la morte del Magnifico. Si disse all’epoca per sifilide, ma già vennero insinuati dubbi di morte per avvelenamento, cosa assai frequente all’epoca e che poteva avvenire lentamente o in modi fulminanti. Le recenti indagini forensi del 2019 hanno appurato che si trattò di avvelenamento da arsenico, così come per l’amico Poliziano, morto anche lui per le stesse motivazioni due mesi prima, il 24 Settembre dello stesso anno.

Il decesso del conte, avvenuto dopo alcuni giorni di febbri altissime, accadde nello stesso giorno in cui a Firenze si festeggiava l’arrivo del re Carlo VIII di Francia, il quale si recò a rendere omaggio alla salma di Pico. Il re era di passaggio verso Napoli, regno di cui rivendicava il possesso. In quell’occasione Piero, figlio di Lorenzo de’ Medici, venne criticato per l’eccessivo servilismo e per i fiorini che offrì al re per portare avanti la sua impresa.

Entrata di Carlo VIII a Firenze in Via Larga, Francesco Granacci, 1577, Galleria degli Uffizi

Qualche giorno dopo la morte di Pico, avvenuta in una cella del convento di San Marco, il Savonarola lo commemorò dal pulpito della chiesa con queste parole:

Ritengo che non vi sia alcuno di voi che non abbia conosciuto Pico della Mirandola. Da Dio era stato ricolmo di grandi benefici e grandi grazie… A mio giudizio, se avesse vissuto più a lungo, avrebbe sopravanzato per la rilevanza delle opere, tutti coloro che sono morti negli ultimi ottocento anni

da Pico della Mirandola di Jader Jacobelli

Il frate riprese le idee di Pico pubblicando nel 1497 il Trattato contro gli Astrologi, che esprimeva il pensiero dell’umanista in modo più semplice e utilizzando il volgare, linguaggio più adatto anche al pubblico meno colto

Essendo pubblicato il libro delle disputazioni del conte Joanni Pico de la Mirandola contro questi superstiziosi astrologi, e avendolo letto, mi sono rallegrato e contristato. Rallegrato per l’opera utile e necessaria ai Cristiani quando quasi tutto il mondo è involto in questa pestifera fallacia. Contristato che un così grande uomo, certo in quest’età al mondo singolare, sia morto così giovane non avendo potuto dare la sua perfezione a quest’opera… Chi lo leggerà studiosamente senza invidia, chiaramente riconoscerà quest’uomo non essere inferiore ai primi padri

Chiesa di San Marco, Firenze

Il frate affermò enigmaticamente che Pico avrebbe dovuto attendere ancora qualche tempo in Purgatorio per poi passare al Paradiso. Sarà stato probabilmente per un segreto di confessione dello stesso Pico o magari per una delle tante visioni riferite al Savonarola dal confratello Silvestro Maruffi, con lui condannato, il quale soffrendo di sonnambulismo spesso raccontava i propri sogni a occhi aperti al frate ferrarese. Fatto sta che la salma del filosofo della Mirandola rimase in un sarcofago in un angolo del chiostro del convento di San Marco per più di 50 anni, e i monaci ne facevano di un sedile, fino a quando, nel 1542, venne finalmente posto nella chiesa dove si trova attualmente insieme agli amici Poliziano e Girolamo Benivieni. Sulla sua lapide compare la misteriosa scritta “Qui giace Giovanni il Mirandola, la fama/il resto lo sanno il Tago, il Gange e forse anche gli Antipodi“.

Anche a Strasburgo Pico fu commemorato nel giorno della sua morte:

Nel duomo di Strasburgo lo commemorò il predicatore Geiler von Keiserberg affermando, fra l’altro, che Pico, se fosse vissuto il doppio di quello che visse, sarebbe stato più grande di Sant’Agostino

da Pico della Mirandola di Jader Jacobelli

I sepolcri di Pico della Mirandola, Poliziano e Girolamo Benivieni e davanti la scultura in bronzo del Savonarola, Chiesa di San Marco, Firenze

Io mi attribuirò il merito – e non mi vergognerò affatto di tessere le lodi di me stesso – di non aver mai fatto della filosofia con nessun altro intento che quello di essere filosofo e di non aver nè sperato nè richiesto mai dai miei studi, dalle mie veglie, alcuna ricompensa o frutto diverso dal nutrimento del mio animo e dalla conoscenza della verità, da me sempre sommamente ricercata

da Oratio de Homins Dignitate di Pico della Mirandola