Quando nei primi mesi del 1484 il giovane Giovanni Pico, conte della Mirandola e di Concordia, arrivò a Firenze, fu come una scintilla che si inserì in modo determinante nell’effervescente clima culturale che da qualche decennio caratterizzava la città. Nato nel 1463 a Mirandola, un piccolo borgo dell’Emilia Romagna dove la famiglia aveva istituito una signoria, Giovanni Pico si disinteressava ai giochi di potere disputati dai fratelli, dedicandosi essenzialmente allo studio. Era bello, alto, dai lunghi e fluenti capelli chiari, il fisico possente, gli occhi espressivi e dolci, e soprattutto era molto intelligente. La memoria e l’acutezza delle sue osservazioni erano proverbiali e lo avevano reso un personaggio acclamato dalle più importanti corti europee.
A soli 21 anni Pico era già molto famoso e il suo arrivo veniva atteso con curiosità dagli intellettuali fiorentini.
Dopo Dante, Petrarca e Boccaccio, che per primi avevano introdotto il culto dell’uomo, dopo il Concilio di Firenze e l’arrivo in città dei numerosi pensatori bizantini successivamente alla caduta di Costantinopoli, Firenze era al centro degli interessi di artisti, religiosi e letterati. Cosimo il Vecchio, nonno di Lorenzo il Magnifico, da appassionato umanista, già nel 1459 insieme a Marsilio Ficino, che poi diventerà amico di Pico, aveva fondato a Firenze l’Accademia Neoplatonica e finanziato la costruzione di una prima biblioteca pubblica, che fu annessa alla chiesa e al convento di San Marco, anche questi ristrutturati grazie al suo finanziamento.
La biblioteca, come ci racconta lo scrittore e libraio toscano Vespasiano da Bisticci, fu allestita con testi scelti da Tommaso Parentuccelli, inizialmente precettore nelle famiglie Strozzi e Albizzi, poi vescovo di Bologna e infine eletto papa con il nome di Nicolò V. Il Parentuccelli, nativo di Sarzana, era da tempo appassionato di libri antichi, che andava traducendo in latino con molta devozione. Anche una volta divenuto papa continuerà in questa sua passione per la raccolta e traduzione dei vecchi codici contribuendo alla nascita della Biblioteca apostolica vaticana e allo svilupparsi delle idee umanistiche.
La biblioteca di San Marco era frequentata dagli intellettuali della città, che potevano trovarvi numerosi testi classici e religiosi scritti in latino, greco, ebraico, arabo. Fu all’ingresso di questo luogo che il monaco Girolamo Savonarola, priore del convento dal 1491, venne arrestato con altri confratelli per le sue idee considerate eretiche e le prediche infuocate contro il malcostume e la corruzione. Era la notte dell’8 Aprile 1498. Dopo qualche giorno, il 23 maggio, sarà condannato all’impiccagione e al rogo in Piazza della Signoria a Firenze. Un disco circolare sul pavimento della piazza ne ricorda il martirio.
Cosimo de’Medici, il Pater Patriae, come fu chiamato, aveva la sua cella nel corridoio del convento di San Marco, nella parte riservata ai laici. Alcune pareti del monastero e piccoli riquadri all’interno delle celle erano stati affrescati dal Beato Angelico con le storie di Gesù. Li possiamo vedere ancora oggi. Cosimo si rifugiava in quel luogo per meditare e pregare. Anche Pico della Mirandola vi trovò il suo rifugio negli anni fiorentini.
Il conte di Mirandola aveva studiato e si era fatto notare alla Sorbona a Parigi. Aveva viaggiato per l’Italia soggiornando nelle corti di Padova, Bologna e Ferrara e probabilmente aveva già fatto conoscenza con il Savonarola, che era originario di quella città. Firenze era un posto che aveva sempre auspicato di frequentare. Era soprattutto lì e a Venezia che si erano rifugiati gli intellettuali bizantini dopo l’esodo in massa dalla città di Costantinopoli. Il giovane Pico era pieno di entusiasmo e certo di portare qualcosa di nuovo per l’evoluzione del pensiero.
I molti intellettuali invece, soprattutto per invidia, lo criticavano ritenendo la sua erudizione poco profonda e poco originale. Pico venne accusato di esoterismo, di divulgare ingenuamente misteri arcani, cosa che secondo i teologi non andava fatta. In realtà il messaggio di Pico era semplice ed evangelico. Egli pensava che l’atteggiamento elitario non fosse compatibile con quello che aveva detto Cristo. L’uomo per Pico della Mirandola era la creatura per eccellenza, colui che con il suo comportamento e con la libertà che gli era stata data da Dio, avrebbe potuto elevarsi ed evolvere, oppure retrocedere allo stato di bruto. L’uomo era artefice del suo destino ed aveva grandi potenzialità che andavano coltivate per il progredire dell’umanità tutta e della verità. Questa idea fu al centro dell’ardente pensiero dell’umanista e il suo trattato Oratio de Hominis dignitate, che fu pubblicato postumo dal nipote Gian Francesco, venne preso a manifesto per il Rinascimento. Il fatto è che per questi primi umanisti non si trattava di quel rinnovamento laicizzante che caratterizzò poi l’evolversi di quest’epoca.
I Pitagorici trasformano gli uomini scellerati, in bruti e, se si crede ad Empedocle, anche in piante. Maometto ripeteva spesso e a ragione, che chi si è allontanato dalla legge divina diventa un bruto… Ci invada l’animo una sacra ambizione, così che non contenti delle cose mediocri aneliamo alle somme, e ci sforziamo di conseguirle con tutte le forze…
da Oratio de Hominis dignitate di Pico della Mirandola
Parole forti, espresse chiaramente, il cui fine era quello di esaltare l’uomo e conciliare tutte le visioni religiose e i pensieri filosofici in un unico sentire. Già il papa umanista Pio II Piccolomini di Pienza, nel 1461 aveva scritto una lettera al sultano Maometto di Costantinopoli per cercare di conciliare le idee religiose in un unico credo. La lettera, nota in tutte le corti d’Europa, fu molto criticata dai potenti, ma probabilmente non da Pico.
Giovanni Pico, con l’ottimismo e la freschezza dei giovani, avrebbe voluto discutere con il papa e con i maggiori teologi dell’epoca, quelli che erano i suoi dubbi e le sue inquietudini. Egli prediligeva il mistero dell’Incarnazione a quello della Passione e riteneva che in ogni grande pensatore dell’umanità ci fosse un fondo di verità, in quanto tutti erano stati ispirati da Dio. Per questo studiava di tutto e nelle lingue originali. Conosceva il Greco, l’Aramaico, il Latino, le teorie di Platone, Aristotele, Avicenna, Averroè, Agostino, Tommaso. Con vero spirito umanistico la Fenice degli Ingegni, come fu chiamato, divorava gli antichi testi ebraici, egizi, greci, in un delirio di pensieri, cercando i nessi e le concatenazioni che secondo Lui avrebbero sicuramente portato a Cristo, il fine e l’inizio delle cose, colui che c’era sempre stato nella mente dei filosofi anche antecedenti alla sua venuta. Perchè filosofare per Pico equivaleva a fare teologia. Egli pensava che anche Platone, Pitagora, Aristotele fossero stati influenzati dai libri mosaici degli Ebrei e che tutti parlassero della venuta di Gesù.
Per questo il benestare del papa, a differenza del più ribelle Savonarola, era per lui fondamentale.
Qualunque cosa io abbia scritto o scriva in avvenire, vale l’avvertenza che deve essere ritenuto giusto e santo soltanto quello che giusto e santo giudicano il Sommo Pontefice e tutti coloro il cui giudizio sarà stato da lui fatto proprio.
da Pico della Mirandola di Jader Jacobelli
Così nel 1486 chiese il permesso di poter indire un grande congresso a Roma alla presenza del papa Innocenzo VIII e dei cardinali e teologi che sarebbero voluti intervenire da tutta Europa, anche a sue spese. Si era riproposto di discutere insieme le 900 tesi che aveva individuato, in modo da delineare un pensiero comune. Le invidie scatenate da questo ambizioso progetto furono molte. Come si permetteva un giovane di poco più di venti anni anche solamente pensare di poter arrivare a tanto? L’intelligenza di Pico lo rendeva consapevole di tutto questo.
Padri, con orecchio benigno, conforme alla vostra umanità, siate indulgenti verso questa mia opera
da Oratio de Hominis dignitate di Pico della Mirandola
Il papa, mosso da pensieri contrastanti e dalle voci maligne che gli giungevano, rinviò la disputa chiedendo ad una commissione d’inchiesta di informarsi sulle tesi che avrebbero dovuto discutere. Una decina di queste furono dichiarate eretiche e la discussione non avvenne. Questo spinse Pico a scrivere un’Apologia per difendersi, cosa che non fece altro che esasperare ancora di più il pontefice, il quale lo condannò vietando la lettura e la stampa dei suoi scritti. Essendo dopo questo fatto molto amareggiato, il conte di Mirandola si recò in Francia, ma i suoi nemici, insinuando che volesse presentare le tesi in quel paese, lo fecero arrestare su mandato del papa e imprigionare nella rocca di Vincennes.
Lorenzo de’ Medici, magnate e protettore di artisti e intellettuali, stimava il conte Pico della Mirandola e si adoperò molto per la sua liberazione scrivendo più volte a Roma per implorarne la scarcerazione:
Il signore della Mirandola è dottissimo in fatto e in opinione degli uomini, e non credo sia bene disperarlo di pigliare qualche via cattiva, credo sia più reducibile con le dolci…
da una lettera di Lorenzo de’ Medici alla corte papale di Roma
Il papa si convinse e concesse a Pico di tornare a Firenze a patto di non risiedere in città. Il Magnifico gli procurò alloggio in una villa sulle colline fiesolane, il Querceto, vicino Settignano. Qui Pico rimase alcuni anni dedicandosi alla meditazione e allo studio e vivendo in quasi totale isolamento come un monaco, rallegrato solo dalla visita saltuaria di alcuni amici come Angelo Poliziano. In seguito alla morte del papa Innocenzo, la sua condanna fu revocata dal papa Borgia Alessandro VI, colui che successivamente farà processare il Savonarola.
Nonostante l’affetto e la riconoscenza per il Magnifico, Pico della Mirandola non si legò mai a nessuna signoria o fazione politica, nè a nessun pensiero filosofico in particolare
Mi fai notare che è ormai tempo che presti la mia opera a questo o a quello dei più potenti principi italiani. Si direbbe che tu non capisca quanto animosamente ragionino i filosofi… Essendosi abituati alla solitudine e al colloquio con se stessi, non possono piegare la loro condotta al servilismo umiliante…
da una lettera di Pico della Mirandola ad Andrea Corneo.
Come scrisse il nipote Gian Francesco Pico, il quale si occupò scrupolosamente che il pensiero dello zio non venisse dimenticato pubblicando postumi i suoi scritti, egli amava sopra ogni cosa la libertà, a cui lo disponevano sia la sua inclinazione naturale sia lo studio della filosofia.
I fraintendimenti e le distorsioni di interpretazione delle sue idee gli causarono molto dispiacere. La lotta contro l’astrologia, all’epoca corporazione assai potente, contro le divinazioni, la superstizione e la magia, giudicate da lui prive di fondamento, erano caratteristiche fondamentali del pensiero di Pico ma divennero paradossalmente le principali ragioni per cui fu condannato. Probabilmente i suoi pensieri furono travisati. Egli cercando di conciliare tutte le tradizioni e dottrine, riteneva la magia (cioè l’osservazione degli astri, non la stregoneria che era assolutamente esecrabile) una scienza di interpretazione della natura al pari delle altre. In fondo nel Vangelo si parlava anche di magi e gli stessi Cosimo il Vecchio e Piero de’ Medici, il padre di Lorenzo, nel 1459 avevano commissionato a Benozzo Gozzoli l’affresco della cappella privata del loro palazzo di Via Cavour con l’immagine del corteo dedicato ai magi, che tradizionalmente partiva il 6 gennaio dal convento di San Marco per percorrere le vie cittadine.
Per Pico la Cabala ebraica, cioè l’interpretazione mistica e arcana delle scritture, avrebbe potuto essere la più grande prova della divinità di Gesù, il quale era superiore e non era affatto un mago, ma sicuramente consapevole di tutto.
Le donne erano affascinate dal conte di Mirandola e lui sembrava non disdegnare, anche se i suoi interessi erano tutt’altro che mondani. Una volta una gentildonna di Arezzo di nome Margherita, sposata con Giuliano di Mariotto de’ Medici, si invaghì di lui e probabilmente contraccambiata, inscenò una romantica fuga d’amore piombandogli in carrozza mentre viaggiava verso Roma. Anche in questo caso Pico, che era stato imprigionato dal marito, venne scarcerato grazie all’intervento di Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze.
Il monaco rivoluzionario Girolamo Savonarola sempre così polemico e burbero, fu suo amico e ispiratore, e a sua volta venne ispirato dalle idee del conte. Il frate ferrarese, che si scagliava contro la corruzione dell’epoca, aveva per Pico una grande stima e lo descrisse con queste parole: Il suo animo era diverso, era umile e buono, e la fama, gli elogi e l’opinione che aveva di sè non erano arrivati a guastargli il cuore.
da Storia di Girolamo Savonarola di Pasquale Villari
Stranamente non esistono ritratti che raffigurano Pico della Mirandola: per un uomo all’epoca così in vista e conosciuto in tutte le corti nobili è una cosa abbastanza inconsueta. I suoi nemici probabilmente vollero oscurarne perfino la memoria. Ne è rimasto solamente un dipinto probabilmente caricaturale presente oggi agli Uffizi, ovviamente opera di ignoto. Esistono anche qualche altra miniatura, o piccole immagini successive tutte evidenti copie di questo.
Nel dipinto Pico è ritratto di profilo. Si notano il naso ben pronunciato, i lunghi capelli, la bocca carnosa e un accenno di gozzo. Niente di affascinante più di tanto. Ma le numerose lettere dell’epoca parlano spesso della sua estrema avvenenza che era tale da ammaliare sia uomini che donne. Il fedele nipote Gian Francesco lo descrive con queste parole:
Era bello di corpo e grazioso d’aspetto. Ebbe portamento distinto e nobile, statura alta ed eretta, carnagione delicata, volto avvenente, occhi azzurri e vividi, capelli di un biondo naturale, denti candidi e uguali.
Il poeta Angelo Poliziano, che riconosce a Pico il pregio di averlo fatto riavvicinare alla filosofia, così commenta Questo nobilissimo principe è l’unico uomo, o piuttosto eroe, ricco di tutte le doti della fortuna, del corpo e dell’anima, perchè è un giovane di fattezze quasi divine, di maestà di corpo, di ingegno elevatissimo. di singolare memoria, di infaticabile studio… non so se più mirabile nel giudizio o nei costumi
Fortunatamente essendo consuetudine all’epoca raffigurare le persone più in vista della città negli affreschi di chiese e palazzi, una sicura immagine di Pico la possiamo osservare nell’affresco di Cosimo Rosselli del 1486 esistente nella Cappella del Sacramento della chiesa di Sant’Ambrogio a Firenze.
Il giovane è ritratto in veste verde ad una processione per il miracolo del Santissimo Sacramento proprio nella piazza della suddetta storica chiesa fiorentina. Insieme a lui ci sono gli umanisti Marsilio Ficino, che all’epoca aveva 54 anni e Poliziano, di una decina di anni più adulto di Pico. Il conte appare un po’ imbronciato e i due amici sembrano consolarlo. L’espressione è dolce e provata. E’ emblematico che tutti e tre i pensatori siano stati raffigurati in primo piano nel corso di una processione.
Giorgio Vasari cita questo affresco nella Vita di Cosimo Rosselli, l’autore, e giudica l’opera una delle migliori del pittore:
Di naturale, oltre a molti altri, vi è ritratto Pico della Mirandola tanto eccellentemente che pare non ritratto, ma vivo
Da Vita di Cosimo Rosselli di Giorgio Vasari
La Chiesa di Sant’Ambrogio fu costruita nel luogo dove nel 393 soggiornò Ambrogio, vescovo di Milano. Nel 1230 vi si verificò un miracolo di trasformazione di alcune gocce di vino in sangue, avvenimento che fu precedente di 30 anni a quello di Bolsena per il quale venne edificato il duomo di Orvieto. Il calice rimase protetto e nascosto nella chiesetta per secoli. Nel medioevo la chiesa di Sant’Ambrogio divenne meta di pellegrinaggi e fu una delle più importanti della città. Era piena di begli affreschi e di opere d’arte che successivamente sono state spostate nei vari musei. In Sant’Ambrogio si trovano i sepolcri di Simone del Pollaiolo, di Verrocchio, di Mino da Fiesole (che realizzò il tabernacolo in marmo nella Cappella del Sacramento) e di Francesco Granacci, grande amico di gioventù di Michelangelo, entrambi allievi alla bottega del Ghirlandaio. Alcuni degli affreschi medievali sono rimasti nella chiesa, come una bellissima Deposizione dalla Croce del secolo XIV di Niccolò Gerini, pittore appartenente alla scuola giottesca.
L’esigenza di rinnovamento sentita dagli Umanisti e soprattutto da Pico della Mirandola consisteva essenzialmente nel rinnovamento portato da Cristo con il suo messaggio e non quello che diventò successivamente nel periodo rinascimentale. Infatti attraverso l’eccessiva esaltazione della società e dell’uomo, con il tempo tutto venne fuorviato e subì un processo di laicizzazione che portò al distacco fra quello che era ritenuto nobile e ciò che era plebeo, cosa che non accadeva nel Medioevo. In una società ormai corrotta quando il bene avanza il male si scatena.
Con la riscoperta della storia anzichè sviluppare la critica, si volle esaltare il paganesimo e nelle corti rinascimentali si rappresentarono gli dei e i miti antichi escludendo quel ruolo ispiratore che la Chiesa aveva avuto nel Medioevo e che era rimasto di fatto un punto di unione della realtà italiana dopo la caduta dell’Impero romano. Tutto ciò significava distruggere la potenza della Chiesa nei confronti degli imperi. Gli artisti, sotto la protezione dei ricchi borghesi e della nobiltà, sottostavano agli ordini dei potenti, spesso inconsapevoli, inibendo il loro ingegno per paura, ricatto o per smania di gloria e denaro.
Le eleganze stilistiche e formali, vuote di contenuto, l’etichetta, le formule rigide nell’architettura e nell’urbanistica erano apprezzate come pregevoli e furono imposte dai Signori agli artisti del Rinascimento con l’obbligo di rimanere in quei dettami. La rigidità accademica si estese anche alla natura con la nascita dei cosiddetti giardini formali, fatti di siepi e alberi perfettamente potati, aiuole geometriche, grotte, labirinti e ninfei, opere di sola rappresentanza per un’elite, che divennero strumenti di dominio, sfoggio di lusso e potere. Le formule matematiche presero il posto delle idee libere, le litanie ripetute, quello delle preghiere spontanee e dello slancio del cuore. Il popolo, spesso apparentemente, venne tagliato fuori da tutto, ma di fatto anche questo manovrato.
Solo alcuni liberi artisti riuscirono ad andare contro questa tendenza che introduce direttamente nell’era moderna e porta fino ai nostri giorni, vedi il Botticelli, che negli ultimi periodi inizia a dipingere fuori prospettiva alla maniera medievale, o il genio irascibile di Michelangelo, il quale sempre ribelle alle imposizioni, era capace di litigare con papi e principi fuggendo e lasciando incompiute le sue opere pur di salvaguardare le sue idee, oppure introducendo accorgimenti fuori dalle regole come per esempio un David poco proporzionato con testa e mani enormi. L’idea che domina la materia pur conservandone la bellezza e l’armonia. L’arte in cui c’è posto per il sentimento, per il sacro.
Girolamo Savonarola e in seguito la Riforma Protestante con i suoi princìpi, furono una conseguenza portata dal degrado di questa società, tutta apparenza, lusso ed esteriore. La mancanza di punti di riferimento forti contribuì a dare il colpo di grazia all’Italia, che con il suo immenso patrimonio storico, artistico e culturale diventò oggetto per eccellenza di predominio delle mire straniere.
Pico della Mirandola morì misteriosamente il 17 Novembre del 1494 a poco più di 30 anni. Si disse all’epoca per sifilide, ma già vennero insinuati dubbi di morte per avvelenamento, cosa assai frequente all’epoca e che poteva avvenire lentamente o in modi fulminanti. Le recenti indagini forensi del 2019 hanno appurato che si trattò di avvelenamento da arsenico, così come per l’amico Poliziano, morto anche lui per le stesse motivazioni due mesi prima, il 24 Settembre dello stesso anno.
Il decesso del conte, avvenuto dopo alcuni giorni di febbri altissime, accadde nello stesso giorno in cui a Firenze si festeggiava l’arrivo del re Carlo VIII di Francia, di passaggio verso Napoli, regno di cui rivendicava il possesso. In quell’occasione Piero, figlio di Lorenzo de’ Medici morto da due anni, venne criticato per l’eccessivo servilismo che mostrò verso il re, compreso per i cospicui fiorini che gli offrì e che dovevano servire per portare avanti la sua impresa.
Qualche giorno dopo la morte di Pico, avvenuta in una cella del convento di San Marco, il Savonarola lo commemorò dal pulpito della chiesa con queste parole:
Ritengo che non vi sia alcuno di voi che non abbia conosciuto Pico della Mirandola. Da Dio era stato ricolmo di grandi benefici e grandi grazie… A mio giudizio, se avesse vissuto più a lungo, avrebbe sopravanzato per la rilevanza delle opere, tutti coloro che sono morti negli ultimi ottocento anni
da Pico della Mirandola di Jader Jacobelli
Il frate riprese le idee di Pico pubblicando nel 1497 il Trattato contro gli Astrologi che esprimeva il pensiero dell’umanista in modo più semplice e utilizzando il volgare, linguaggio più adatto anche al pubblico meno colto
Essendo pubblicato il libro delle disputazioni del conte Joanni Pico de la Mirandola contro questi superstiziosi astrologi, e avendolo letto, mi sono rallegrato e contristato. Rallegrato per l’opera utile e necessaria ai Cristiani quando quasi tutto il mondo è involto in questa pestifera fallacia. Contristato che un così grande uomo, certo in quest’età al mondo singolare, sia morto così giovane non avendo potuto dare la sua perfezione a quest’opera… Chi lo leggerà studiosamente senza invidia, chiaramente riconoscerà quest’uomo non essere inferiore ai primi padri
Il visionario frate affermò enigmaticamente che Pico avrebbe dovuto attendere ancora qualche tempo in Purgatorio per poi passare al Paradiso. Sarà stato forse per questo che la sua salma rimase in un sarcofago in un angolo del chiostro del convento di San Marco per più di 50 anni, fino a quando, nel 1542, venne finalmente posto nella chiesa dove si trova attualmente insieme agli amici Poliziano e Girolamo Benivieni. Sulla sua lapide compare la misteriosa scritta “Qui giace Giovanni il Mirandola, il resto lo sanno il Tago, il Gange e forse anche gli Antipodi“.
Anche a Strasburgo Pico fu commemorato nel giorno della sua morte:
Nel duomo di Strasburgo lo commemorò il predicatore Geiler von Keiserberg affermando, fra l’altro, che Pico, se fosse vissuto il doppio di quello che visse, sarebbe stato più grande di Sant’Agostino
da Pico della Mirandola di Jader Jacobelli
“Io mi attribuirò il merito – e non mi vergognerò affatto di tessere le lodi di me stesso – di non aver mai fatto della filosofia con nessun altro intento che quello di essere filosofo e di non aver nè sperato nè richiesto mai dai miei studi, dalle mie veglie, alcuna ricompensa o frutto diverso dal nutrimento del mio animo e dalla conoscenza della verità, da me sempre sommamente ricercata“
da Oratio de Homins Dignitate di Pico della Mirandola